Febbraio 2021
pp. 350
COLLANA: LA Critica – 6
ISBN: 978 88-97931 63 8
Prefazione di Ortensio Zecchino
Nella vicenda storica degli ordinamenti occidentali vi è un sotteso, un non-detto che alimenta tutto il lungo percorso dell’esperienza giuridica: nel diritto è insita la verità. Dai primordiali documenti normativi conosciuti – i comandamenti mosaici, il codice di Hammurabi, le leggi delle dodici tavole – fino al diritto medievale e, parzialmente, a quello della prima Età moderna, si evince l’idea di fondo che il diritto traduca nelle relazioni umane una dimensione superiore dell’ethos destinata a disciplinare i comportamenti degli esseri umani vincolandoli a precetti la cui legittimazione, direttamente o indirettamente, si fonda su postulati ultramondani o quantomeno su una ragione obiettiva che è definita come incontrovertibile Veritas. In quest’orizzonte di senso la dimensione giuridica è pensata e vissuta come una sorta di “braccio secolare” il cui compito essenziale consiste nel tradurre, nel declinare, nella concreta realtà dei rapporti intersoggettivi, princìpi che trovano origine e fondamento nel thesaurus di valori religiosi e morali che una consolidata Tradizione ha proteso nel tempo. Va da sé che, essendo gli strumenti principali di questa declinatio sanzionatori, il diritto ha bisogno di fondare non solo un ordine normativo, ma anche un apparato istituzionale, capace di mettere in atto le decisioni che sono il frutto di quella traduzione. Il diritto ha insomma il compito di trasformare l’idea astratta in realtà concreta e operativa (si può notare, per inciso, che «traduzione» e «tradizione» hanno, nel prefisso latino trans, una radice etimologica almeno parzialmente comune). Questo saggio descrive il faticoso e tormentato percorso che il Diritto occidentale ha compiuto per emanciparsi dall’idea di Verità senza per questo rinunciare alla certezza del diritto e alla stabilità dei rapporti intersoggettivi e istituzionali, nell’ambito di un processo di civilizzazione che si è coagulato intorno alla statualità e al diritto positivo.
Francesco Di Donato, è professore ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche presso il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Napoli “Parthenope”, dove insegna anche Storia costituzionale. Presso lo stesso ateneo è coordinatore del dottorato di ricerca DIES (Diritto e Istituzioni Economico-Sociali). Ha insegnato in diversi atenei italiani (Napoli Federico II, Sannio e Calabria) ed è regolarmente chiamato a tenere corsi, lezioni e conferenze in molte sedi universitarie italiane ed internazionali (Parigi, Lyon, Buenos Aires, Berkeley, Boston, New York, Chicago, Montréal). È autore di oltre ottanta saggi e articoli pubblicati in quattro lingue. Tra i suoi numerosi volumi monografici: Esperienza e ideologia ministeriale nella crisi dell’Ancien Régime (2 voll., Jovene, Napoli 1996); L’ideologia dei robins nella Francia dei Lumi. 1715-1788 (Esi, Napoli 2003); La rinascita dello Stato. Dal conflitto magistratura-politica alla civilizzazione istituzionale europea, Il Mulino, Bologna 2010. Ha inoltre curato e introdotto diverse traduzioni ed edizioni di fondamentali opere della storiografia giuridica e politica europea, tra cui: D. Richet «Lo spirito delle istituzioni» (Laterza, Roma-Bari 1998); R. Mousnier «La costituzione nello Stato assoluto» (Esi, Napoli 2002); G. Delille, Crescita e crisi di una società rurale, Il Mulino 2014.