Dicembre 2016
pp. 344
COLLANA: Tempi Moderni – 16
ISBN: 978-88-97931-87-4
L’India è oggi un prototipo di Stato multiculturale, una sorta di “federalismo irregolare” capace di intercettare la diversità? La Cina è una struttura ibrida, tra partito unico e capitale, centralista ma portatrice, volente o nolente, di pluralismo “geneticamente asimmetrico”? Due “architetture istituzionali” destinate a influenzare i modelli occidentali? Partendo dalle tradizioni filosofiche di due grandi paesi, il libro prova a entrare nell’anima di due territori, il Kashmir dall’India amministrato e la Regione Autonoma dello Xinjiang (Turkestan orientale) cinese.
Luoghi straordinariamente estremi per posizione strategica, bellezza naturale, sentimento violento e contraddittorio, identità fragile e frazionata. Lo Stato dello Jammu, Kashmir e Ladakh, parte dell’Unione indiana; l’Azadi Kashmir e il Gilgit-Baltistan amministrati dal Pakistan; l’Aksai Chin e la Valle Shaksgam controllati dalla Repubblica popolare cinese, sono aree complesse di straordinaria importanza geopolitica e geostrategica, disputate da superpotenze nucleari, ma anche luoghi meravigliosi e crocevia di molteplici civiltà, abitati da differenti gruppi etnici, portatori di tradizioni, culture, linguaggi e religioni.
In particolare la Valle del Kashmir amministrata dall’India, a maggioranza musulmana, presenta due motivi di tensione. Il primo di natura egemonica in cui grandi potenze si fronteggiano armate, lungo confini mai reciprocamente accettati, per il controllo del “tetto del mondo”. Il secondo motivo di contrasto è tra autorità centrali e popolazioni locali che rivendicano l’autodeterminazione. Il governo indiano, ha gradualmente militarizzato l’area, una vera e propria occupazione secondo la popolazione locale, per difendersi da una duplice minaccia: esterna, rappresentata da Pakistan e Cina; interna, costituita dal separatismo alimentato, secondo Delhi, dallo stesso Pakistan, coinvolto nella cosiddetta “guerra indiretta”.
Oggi il Kashmir è una pericolosa polveriera di cui non arriva abbastanza l’eco in occidente. La Regione Autonoma dello Xinjiang, la più occidentale della Cina, è abitata in maggioranza dall’etnia uigura, di fede musulmana. Cospicui flussi migratori di cinesi Han, favoriti da una costante politica di controllo e assimilazione attuata dalle autorità centrali, hanno determinato conflitti identitari a sfondo autonomista e separatista, moltiplicatisi in modo preoccupante dal 2009 ad oggi. Conflittualità che ha una duplice valenza. Interna, laddove reiterati atti di natura terroristica o proto-terroristica, potrebbero indebolire l’unità del paese e incrinare l’idea di forza del partito unico. Esterna, in quanto frange più oltranziste, indottrinate e addestrate in territori turbolenti e incontrollati, tra Pakistan e Afghanistan, potrebbero andare a ingrossare le fila degli “eserciti islamisti”, di varia natura e provenienza, agenti in modo organizzato o estemporaneo nel Sud Est asiatico come in Asia centrale, in Medio Oriente piuttosto che in Occidente.
Vittorio Pagliaro, studioso di Relazioni Internazionali, già docente presso diverse Università italiane, tra le quali l’Università di Teramo, la LUISS di Roma e la Link Campus University. Lecturer presso il “Centre of Central Asian Studies” (CCAS), Università del Kashmir, sede di Srinagar e membro del Comitato Direttivo dell’Associazione Italia-Cina. Docente di Relazioni Politiche Internazionali nel corso di laurea in Relazioni e Organizzazioni Internazionali (ROI), presso il Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet” della Seconda Università di Napoli (SUN).